5 marzo 2010
Un’insegnante eternamente precaria va in pensione costretta a pagarsi anche i contributi
Per 35 anni ha insegnato dove gli altri non volevano andare.Lucia Longo, 61 anni, è la prima precaria a vita della scuola che va in pensione dopo una carriera di contratti rinnovati di anno in anno e di viaggi della speranza. Lucia, infatti, originaria di Laterza, in provincia di Taranto, si è seduta tutta la vita dietro le cattedre che gli altri avevano scartato, in paesini irraggiungibili o in quartieri difficili. “Mi sono pagata tutti i viaggi di tasca mia – racconta Lucia – uno stipendio lo investivo solo negli spostamenti. Quest’anno, per esempio, faccio 120 chilometri algiorno,perché lascuola dove devo insegnare ne dista 60 da Taranto. Ho fatto una vita da docente di serie B, mi pagavano lo stipendio per 9 mesi l’anno. Gli altri tre c’era un forfettario, sostanzialmente un ammortizzatore sociale”.
Lucia Longo, dopo 35 anni di lavoro, di cui 26 nella scuola, guadagna 1280 euro al mese. La sua pensione non arriverà ai mille e una parte di questa dovrà investirla in un prestito di oltre 10.000 euro che le permetterà di ricostruire la sua posizione contributiva. Del resto il problema di chi arriva alla pensione da precario, e i numeri cresceranno esponenzialmente nei prossimi anni, è quello di fare i conti con lo spezzettamento dei contributi raccolti durante la professione. “E’ necessario informarsi in anticipo – spiega Corrado Colangelo, membro della segreteria nazionale della Flc Cgil – per non trovarsi poi in difficoltà a fine carriera. Il fatto è che da giovani, o comunque quando la pensione la si vede ancora lontana, non si presta attenzione e si rischiano brutte sorprese”.
Come l’ha avuta Lucia, che non può chiedere un prestito all’Inpdap per colmare i suoi debiti, scivolando in coda dopo tutti i dipendenti. Di avvicinarsi a una banca commerciale, neanche a parlarne. E’ arrivata a questo punto restando imprigionata all’interno di un ingranaggio burocratico infernale, a causa delle leggi che cambiano ogni volta che cambia l’esecutivo in carica. “Scommetto che se mi fossi iscritta al sindacato non sarei arrivata a questo punto. Ma ho sempre odiato chi mi passava avanti perché qualcuno lo aiutava, e io non ho voluto farlo con altri. Il problema di questo tipo d’insegnamento, è anche come viene percepito dall’esterno: i ragazzi e le famiglie rifiutano un docente che va via l’anno dopo”.
Aveva cominciato con una laurea in Lingue all’Università di Bari e si era trasferita per amore a Milano. Lì, dopo aver lavorato da segretaria, era arrivata all’insegnamento nei licei. E dieci anni dopo al fatidico concorso per la docenza nelle scuole superiori. E’ il 1990 e Lucia è seduta dall’altra parte, sui banchi degli esaminati. Riesce a superare la prova scritta. “Ci misero tre anni per correggerli, incredibile. Ci chiamarono per l’orale nel 1993”.
Ma una settimana prima dell’esame il marito di Lucia muore in un incidente stradale e lei non riesce ad affrontare la prova. “Ero distrutta, dopo qualche mese tornai a Taranto e ricominciai tutto da capo, vita e lavoro. Ma ero in fondo alla graduatoria e gli anni passavano. Quando feci il concorso per la scuola primaria, e lo vinsi, fui cancellata dall’elenco perché la nuova legge prevedeva che le maestre avessero al massimo 40 anni, e io ne avevo compiuti 43”. Da allora Lucia ha fatto cinque abilitazioni, per dimostrare le sue capacità, ogni volta che cambiava la legge. Ma nessuna di queste è servita a farla assumere. Due anni fa ci prova ancora, ottiene il settimo posto in graduatoria, ottimo piazzamento sui 12 previsti. Ma poi le comunicano che gli ultimi 6 (quindi il suo per primo) saranno ricoperti da coloro che, grazie alla legge 104 sui disabili, chiedono l’inserimento in una provincia diversa da quella di residenza. “A quel punto, coperta di vergogna, ho fatto ricorso. Potevo magari sperare in uno scatto d’anzianità prima della pensione e ci ho provato. Ma ho perso ed eccomi qua”.
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Da il Fatto Quotidiano del 5 marzo
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