Pacifica invasione della “zona rossa”: «Basta ritardi»
Era la giornata delle chiavi da appendere alle transenne del corso per tornare a chiedere, come domenica scorsa, la riapertura del centro storico, dopo il sisma del 6 aprile. Ma i manifestanti, almeno un migliaio, hanno raggiunto quell’universo di vicoli e vicoletti, della zona rossa de L’Aquila, da 10 mesi interdetti.
Vicolo dopo vicolo, a piccoli gruppi, sono tornati in luoghi che possono solo ricordare come erano prima del 6 aprile. Hanno calpestato traverse, con case sventrate, dove le macerie non sono state neanche raggruppate e porte e finestre sono spalancate, in balia di chiunque.
Fuori dai riflettori, hanno espresso la loro indignazione contro i ritardi nella rimozione delle macerie, e la loro protesta si è rivolta contro l’informazione che, secondo loro, non rende giustizia di una realtà drammatica.
A farne le spese una troupe del Tg1, guidata dalla giornalista Maria Luisa Busi, L’Aquila per un servizio per il settimanale di approfondimento Tv7.
Gli aquilani li hanno apostrofati a suon di “scodinzolini, scodinzolini!”, accusando l’emittente nazionale di aver diffuso un’immagine falsata della situazione in Abruzzo. La giornalista dirà poi di comprendere la situazione «perché quel che ho visto in questi giorni con i miei occhi, è molto più grave di come talvolta è stato rappresentato: migliaia di persone sono ancora in albergo, le case non bastano e la vera ricostruzione non è partita».
Proprio questo è quello che la gente ha contestato al sindaco L’Aquila, Massimo Cialente, tirando in ballo anche la questione delle macerie per cui, domenica prossima, è annunciata una nuova manifestazione.
Una rivendicazione che è di tutti: dai giovani in piedi sui cumuli di macerie, con striscioni e cartelli, alle mamme con il passeggino a spasso tra via Sassa e via Patini e, ancora, gli aquilani più anziani radunati in un angolo di piazza Palazzo a cantare: «L’Aquila bella mo’, tu che me sci vist’ è nasce tu che mi sci vist’ è cresce, te vojo revedò».
Il resto del centro, però, è silenzio: nessuno davanti alle macerie in quella che è stata la propria casa o la propria scuola, ha il coraggio di dire una parola di troppo.
«È il regalo più bello che potevo farmi per il mio compleanno di domani - commenta Donatella Capulli, tra i manifestanti - perché non avrei mai sperato di poter tornare oggi qui, dove sono nata».
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