giovedì 25 febbraio 2010

Bullismo senza privacy


Il fatto:

un bambino autistico viene seviziato nel 2006 in un istituto tecnico di Torino da alcuni compagni, il resto della classe non interviene e osserva con indifferenza come se fosse un fatto abituale. Il pestaggio viene filmato e messo su YouTube. E' visto 5.500 volte e poi rimosso in seguito a una segnalazione. YouTube è di proprietà di Google a cui viene imputata la violazione della privacy. Tre dirigenti di Google sono stati condannati a sei mesi dal tribunale di Milano per non aver impedito la pubblicazione del video. La condanna è avvenuta nonostante fosse stata ritirata la querela dai legali del ragazzo.

Le considerazioni:

Internet consente la pubblicazione di contenuti su diverse piattaforme. YouTube è una di queste, come Vimeo, Facebook, Flickr e molte altre. La responsabilità del contenuto è di chi pubblica, non del gestore della piattaforma. Se OGNI contenuto dovesse essere controllato dal punto di vista legale prima di essere messo on line, Internet dovrebbe chiudere i battenti.
Se viene scritto su un muro un insulto diffamatorio, non si può condannare il proprietario dello stabile per averlo permesso o non averlo cancellato immediatamente. Se si usa il telefono per diffondere notizie che dovrebbero essere protette dalla privacy non si denuncia la compagnia telefonica.
Senza il video il bambino sarebbe ancora vittima dei suoi seviziatori, lo scandalo è scoppiato solo grazie alla visibilità data da YouTube. I colpevoli sono nell'ordine: gli insegnanti e il preside che non hanno vigilato, i compagni che lo picchiavano abitualmente, i compagni che assistevano senza muovere un dito, coloro che sapevano e non hanno sporto denuncia.
YouTube ha reso pubblico un reato. Qualcuno è stato punito per quel reato? Si è punito chi ha rivelato uno spaccato delle scuole italiane e del bullismo da quattro soldi con genitori assenti o complici del comportamento dei loro figli. I dirigenti di Google non solo sono innocenti, ma dovrebbero ricevere una medaglia. La sentenza è un monito: i disabili nelle scuole italiane si possono pestare, ma in incognito. E', come chiunque può capire, un problema di privacy.

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